top of page

4 3 2 1...via!

  • Immagine del redattore: Miriam
    Miriam
  • 17 mar 2024
  • Tempo di lettura: 5 min

Immagina di poter vedere la tua vita dilatarsi in 4 possibili varianti: 4 vite diverse, 4 strade diverse, 4 destini diversi. Eppure una sola persona.


‘’Come sarebbe la mia vita se avessi fatto altre scelte?’’


È una domanda che forse qualcuno si sarà fatto o forse no, ma che dà il via a infinite possibilità diverse, le cosiddette sliding doors della vita che ci si presentano cambiandone inconsapevolmente il corso, per sempre.

Archie Ferguson è il protagonista di questa storia e che vive non una sola vita bensì quattro e lo fa lungo il corso di 7 capitoli totali che racchiudono tutte queste diverse ma possibili esistenze.

La sua storia comincia inconsapevolmente già dal primo paragrafo, 1.0, in cui si narra la storia di suo nonno, un immigrato russo che sbarca in America, e poi il matrimonio dei suoi genitori da cui prenderà avvio la sua caleidoscopica avventura.


Copertina del libro di Paul Auster “4 3 2 1”, edizione Einaudi
@imieilibrintazza

La struttura


Non è la prima volta che un autore, o un regista, si interroga su queste tematiche di vite possibili e di scelte decisive. Infatti l’originalità di questo testo non sta tanto nel suo contenuto, ma come questo viene messo su carta.

La struttura è forse la cosa più originale di questo romanzo perché ognuno dei 7 capitoli contiene al suo interno 4 paragrafi che raccontano 4 differenti e possibili vite del nostro protagonista e ogni capitolo affronta una fase diversa di vita: dall’infanzia, passando per la prima adolescenza fino alla gioventù.

Ed è proprio questo schema così particolare a consentire due diversi approcci alla lettura: da una parte la lettura classica in cui all’interno di uno stesso capitolo si vedono diramarsi 4 strade diverse contemporaneamente. Dall’altra invece una lettura anticonvenzionale, che si realizza leggendo prima tutta una vita, poi tutta un’altra e così via, scegliendo di avanzare per paragrafi e tornando quindi più volte sugli stessi capitoli.

L’approccio classico al romanzo, quello che segue la struttura editoriale è quello che secondo me rende di più la complessità del tema trattato e che mette meglio in luce come variando semplicemente gli eventi o le situazioni che ci troviamo davanti cambi letteralmente tutta una vita.

È anche però, per contro, il modo più complicato di leggerlo, perché richiede uno sforzo mnemonico non indifferente nel ricordarsi di volta in volta a quale delle 4 vite di Archie si stia facendo riferimento.

Questo è uno dei motivi per cui il romanzo in questione richiede una dedizione tutta particolare che non ne permette una sua lettura passiva.

Sicuramente ciò è dato anche dalla mole non indifferente di ben 950 pagine che però, bisogna precisare, passa quasi inosservata non appena si comincia a leggere perché la scrittura di Auster ha il merito di risultare molto scorrevole e incalzante.

Questa scorrevolezza la si può osservare anche nella resa dei dialoghi in cui vengono abolite totalmente le virgolette.

Auster non è il primo scrittore contemporaneo che fa questo particolare uso dei dialoghi, basti pensare a Saramago il cui stile è proprio caratterizzato dalla mancata evidenziazione ortografica e narrativa delle sezioni dialogiche.

Questa eliminazione ha come primo effetto immediato quello di abolire i differenti registri linguistici che per forza di cose si creano quando l’autore esplicita la sua presenza per evidenziare il dialogo imminente. In questo caso, senza le virgolette, con il discorso diretto inserito in modo fluido nella narrazione, sembra come se l’autore si rintanasse sullo sfondo narrativo e lasciasse spazio solo all’interiorità dei personaggi, quasi come fosse un flusso continuo.

Questo uso dei dialoghi richiede una collaborazione attiva da parte di un lettore che sembra quasi contribuire alla creazione della storia stessa.

Superata la complessità della struttura, uno degli aspetti che più ho apprezzato del romanzo, personalmente, è stata la descrizione, veramente immersiva, del contesto storico in cui Archie nasce e cresce.

Ci troviamo, infatti, nell’America degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento con tutti gli eventi di questo periodo, come le lotte razziali, l’assassinio di Martin Luther King, il Kuklux klan, l’assassinio di Kennedy, la guerra in Vietnam, le rivolte studentesche del Sessantotto: troviamo veramente l’intera società americana in fermento in quegli anni cruciali per la storia del Paese. 

E il protagonista viene influenzato anche nelle sue differenti vite da questi avvenimenti, il contesto storico sembra quasi emergere come personaggio esso stesso, delineando le stesse scelte e il carattere di Ferguson.


Destino o scelta?


La cosa che ho trovato più affascinante e anche più malinconica allo stesso tempo è la domanda di fondo di tutto il romanzo: di quanto la nostra vita sia frutto delle nostre scelte e di quanto sia frutto invece del destino. 

Possiamo osservare come nel corso delle sue esistenze, Ferguson, incontri molto spesso le stesse persone e vada negli stessi luoghi, ma mentre in alcune vite queste persone appaiono per rimanere in altre sembrano invece solo di passaggio o comunque il segno che lasciano non risulta così profondo. Viene quasi automatico chiedersi: quanto peso hanno le nostre scelte nel determinare la presenza di una persona nella nostra vita? 

A mio avviso Paul Auster gioca in modo equilibrato fra scelta e destino.

Perché se da una parte ciò che Ferguson vive è frutto delle sue decisioni consapevoli e del suo modo di reagire ai differenti avvenimenti e avversità che si trova ad affrontare, dall’altra si fa strada anche una certa idea di destino perché, per quanto le sue vite possano essere diverse, un elemento sempre presente che permane in tutte, e che sembra connotarlo nel profondo, è la scrittura.

Che approdi alla scrittura come giornalista, da una parte, come poeta, come romanziere dall’altra l’idea che ci facciamo è che se si è destinati ad una cosa, questa cosa troverà il modo di raggiungerci.

E quindi nell’ansia causata dall’idea di dipendere interamente dalle proprie scelte, idea che comporta l’assunzione di un pesante fardello di responsabilità, si inserisce, appunto, questa piccola speranza, o forse sollievo, che se siamo destinati a qualcosa troveremo l’occasione per realizzarla, in un modo o nell’altro, forse la vita stessa ce la fornirà.


Foto di un estratto dal libro “4 3 2 1” di Paul Auster
@imieilibrintazza

Il romanzo si interroga poi anche sulla questione dell’identità: la nostra identità, il nostro io più profondo è sempre uguale a sé stesso, rimane inalterato qualsiasi cosa accada o è in parte determinato da ciò che ci succede, dalle strade che imbocchiamo, dalle persone che incrociamo lungo la via? Noi siamo quello che siamo perché è scritto dentro di noi o perché la vita, e tutto quello che questa comporta, con scelte, sbagli, tragedie, lo ha stabilito per noi?

È uno spunto di riflessione con cui il romanzo, in fondo, ci lascia e su cui l’umanità si interroga da secoli, elaborando le sue teorie deterministiche, comportamentiste e chi più ne ha più ne metta.

Ma lo scopo di questo romanzo non è trovare una soluzione a questi quesiti, quanto piuttosto mostrare le sottili dinamiche della vita umana e le trame invisibili che determinano il nostro destino: come la nostra esistenza in fondo sia un mistero intricato di scelte, strade, bivi di cui non esiste un giusto o sbagliato. 

Perché la vita non va pensata, la vita va vissuta, senza rimpianti e rimuginii che ci trasportano in altre strade che non sono la nostra: il romanzo sembra lasciarci con l’idea che tutte le vite possibili, immaginate, vissute e non vissute, sono racchiuse dentro di noi che parola dopo parola componiamo il nostro personale romanzo esistenziale, scegliendo, infine, di vivere il presente.

Commenti


Iscriviti alla newsletter!

Grazie per l'iscrizione!

© 2023 by Miriam Serva. 

  • Instagram
  • Spotify
bottom of page